Riceviamo e pubblichiamo
Il caso Ferragni ha suscitato, a livello mediatico, moltissime reazioni di sdegno e stupore per quanto è accaduto, cioè per la strumentalizzazione, a fini commerciali, della malattia oncologica, in particolare di quella pediatrica, per incrementare, a quanto sembra, la vendita di prodotti dolciari; uno “story telling” che ha sfruttato l’onda dell’emotività delle persone, i cosiddetti followers che, in buona fede, hanno acquistato articoli “griffati” Ferragni pensando di donare una parte del denaro speso a Enti ospedalieri.
Le indagini sono ancora in corso; pare che l’importo delle donazioni della influencer sia stato di piccola entità e senza alcun collegamento con le campagne pubblicitarie diffuse sui mass-media. Come fondatore e volontario dell’Associazione “Amici del 4° piano”, che opera dal 2013 nel reparto di Oncoematologia Pediatrica del San Matteo di Pavia, non ho potuto non riflettere sull’accaduto, credo doverosamente. Gli Enti del Terzo Settore (Organizzazioni di Volontariato, Associazioni, Fondazioni, ecc.), in particolare quelli che operano in campo oncologico, e ancor più se si occupano di bambini gravemente malati, hanno un ineludibile dovere morale nei confronti dei donatori e dei malati di cui si occupano; questo significa, non solo utilizzare con grande responsabilità i fondi ricevuti da privati e aziende, ma anche, in fase di raccolta delle donazioni, informare dettagliatamente sui propri progetti senza cadere nella strumentalizzazione di storie e immagini il cui unico scopo è quello di far leva sull’emotività delle persone. La linea di demarcazione tra racconto e sfruttamento è molto sottile e deve sempre essere tenuta sotto controllo, con assoluta attenzione. Un altro aspetto rilevante è quello di scegliere con grande cura i “partner” commerciali con cui collaborare, i quali comunichino con onestà e rendano tracciabili in modo trasparente le loro quote di donazione. Raccontare i progetti attraverso foto, video e comunicati stampa è giusto e di fondamentale importanza per un Ente del Terzo Settore, per far conoscere la propria realtà e reperire i finanziamenti necessari a rendere sostenibili nel lungo periodo le attività intraprese. Tuttavia, quando la corretta “narrazione” cade nella deplorevole strumentalizzazione a fini di marketing? Personalmente, credo che l’aspetto discriminante si possa trovare nella trasparenza del comportamento di un’Organizzazione senza scopo di lucro e nelle sue modalità di comunicazione; in questo caso ci si può rendere conto se essa raccoglie fondi per sostenere importanti progetti in ambito sociale oppure se essa, al contrario, mette in bella mostra progetti, con l’unico scopo di raccogliere denaro: un pericoloso ribaltamento del rapporto tra mezzi e fini, che trasforma l’Ente benefico in una “macchina succhia soldi”. Immagini come quella di un bambino senza capelli e attaccato ad una flebo ha un elevatissimo potere suggestivo e deve essere quindi utilizzata con molta cautela. Giornalmente siamo bombardati sui social e in televisione da richieste di aiuto in svariati ambiti, attraverso messaggi di ogni genere, che arrivano da ogni parte del mondo. Quando le Associazioni cessano di essere no-profit e diventano vere e proprie aziende che sfruttano come “merce” la povertà, le malattie e la privazione dei diritti umani? La risposta non è semplice, ma invito tutti ad una riflessione e ad un’attenta valutazione prima di donare, non solo per non buttar via i propri soldi, ma anche e soprattutto per fermare meccanismi distorsivi, che si sono insinuati nel settore no-profit. Casi come l’inchiesta “Ferragni”, ovviamente se sarà confermata dalle indagini in corso, mettono in difficoltà l’intero settore del volontariato, poiché contribuiscono a incrementare la diffidenza dell’opinione pubblica verso le tantissime realtà oneste e trasparenti (molte delle quali conosciute personalmente da chi scrive), che faticano quotidianamente a portare avanti importanti attività a favore di chi ha bisogno.
Alessandro Baldi